Una parola, tanti significati, mille problemi.

Spesso si pensa all’antichità come a un epoca in cui gli uomini erano in perfetta armonia con la natura. Ma non è così.

Solamente le società che si basavano sulla caccia e sulla raccolta di erbe e frutti, simili a quelle che sopravvivono tutt’oggi nelle aree più isolate del pianeta, non hanno danneggiato l’ambiente. In realtà non appena l’uomo abbandonò il nomadismo, con la creazione di civiltà sedentarie, la natura venne messa a dura prova. Una prova di ciò è l’omogenizzazione che avviene nei pressi dei villaggi. In queste zone animali e piante si riducono a poche specie, sempre le stesse, e la varietà che c’era prima viene persa per sempre.

E allora, quando l’uomo ha iniziato a incidere pesantemente sull’equilibrio del pianeta? Circa 10 mila anni fa, nel neolitico. A quel tempo al mondo c’erano appena quattro milioni di persone. Con la diffusione dell’agricoltura però la popolazione iniziò a crescere, raddoppiando ogni mille anni circa.

Un caso tipico di devastazione ambientale, dovuto alla sovrappopolazione, è quello della città di Tharros, una metropoli fenicia i cui resti sono ancora visibili nei pressi di San Giovanni di Sinis, Oristano. Nell’800 a.C., quando venne fondata, tutta la zona era coperta da un denso bosco di ontani, querce da sughero, bosso e lentisco. Ad’ oggi, nella regione del Sinis, sono rimaste solo dune di sabbia e steppe. Questo dovuto al fatto che gli abitanti di Tharros avevano esaurito le risorse intorno alla città. La popolazione però in controtendenza con esse continuava ad aumentare: nuovi immigrati arrivavano dal Nord Africa e pensavano di poter sfruttare il nuovo ambiente. Intorno al Mille, però, la città venne abbandonata. Troppe capre e pecore, e un’agricoltura intensiva, avevano fatto crollare gli ecosistemi del Sinis: le dune risalirono sempre più all’interno e la sabbia ricoprì tutto.

Un altro classico esempio più recente lo troviamo sull’isola di Pasqua, dove l’eccessivo disboscamento a provocato ad un rapido mutamento dell’ecosistema dell’isola favorendo l’erosione dello strato fertile di terreno che ricopre l’isola, la desertificazione di ampie zone ed esponendo il terreno al vento e alle intemperie. Tale evento ha causato anche problemi sociali all’interno della popolazione a causa della penuria di risorse ed una drastica riduzione della stessa a seguito di episodi di violenza. Ecco immaginate se questi eventi avvenuti secoli fa, così catastrofici nel loro piccolo, si riproponessero su scala maggiore, addirittura a globale, cosa succederebbe? Continuando di questo passo avremmo presto delle risposte a questo quesito!!

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Ma torniamo alla nostra storia spostandoci in tempi sempre più recenti.

I Greci e i romani ad esempio, non avevano alcun rispetto per le risorse naturali come i boschi. Gli alberi erano di proprietà di tutti, e si potevano tagliare senza particolari limiti. La deforestazione era uno dei problemi più gravi dell’antichità in quanto il legno era il materiale principale utilizzato per riscaldarsi, cucinare, costruire, e soprattutto per fare la guerra. La richiesta di legname, per costruire le grandi navi impiegate nelle battaglie, era molto elevata.

Mappa della deforestazione europea nel corso dei secoli. Da The prehistoric and preindustrial deforestation of Europe

Ma nel passato si sono verificati anche casi di vero e proprio inquinamento dell’atmosfera. Già nel 500 a.C. la percentuale di piombo contenuta nell’atmosfera era più alta che nel Medioevo! Come mai questo? Perché i romani estraevano ogni anno 80 mila tonnellate di questo metallo e circa 400 invece finivano nell’aria durante lo scavo nelle miniere a cielo aperto.

Questi dati li scopriamo semplicemente studiando il ghiaccio. La calotta antartica registra infatti ogni traccia di inquinamento, anche quello risalente a diverse migliaia di anni fa. La neve che è caduta nel corso dei secoli si è infatti depositata, strato su strato. Noi possiamo prelevarla con il sistema del carotaggio ovvero estraendo campioni in profondità, datarla e analizzare la composizione dell’aria rimasta intrappolata nei cristalli di ghiaccio. In questo modo otteniamo informazioni sull’antica atmosfera della Terra, e quindi sulle sostanze che si trovavano nell’aria.

Nel Medioevo ad esempio le attività artigianali ebbero un grande incremento e concerie, fonderie, vetrerie producevano fumi, odori, sostanze tossiche, e avvelenavano aria e acqua. Attorno al 1200, Il Re Edoardo I convocò addirittura la prima commissione anti-inquinamento della storia, vietando l’uso del carbone come combustibile.

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE

E’ stata la rivoluzione industriale ad aver dato alla luce l’inquinamento ambientale come lo conosciamo oggi. L’inquinamento idrico e atmosferico nell’Ottocento, non furono percepiti come un pericolo concreto per l’intero ecosistema perché la mentalità collettiva era indirizzata a compiere un deciso ribaltamento del rapporto uomo-natura in termini di forza. I tempi industriali per i progressisti dovevano prevalere sui tempi biologici, l’accelerazione della modernità si doveva contrapporre alla lentezza della tradizione, mentre la crescita sarebbe prevalsa sull’equilibrio. Il ciclo vitale individuale fu ordinato rigidamente e orientato in funzione del lavoro e della produzione: dall’educazione al pensionamento la vita dell’uomo era pensata sul piano produttivo in funzione della società industriale. Tutto ciò portò alla nascita di grandi fabbriche dove il consumo di enormi quantità di carbone e altri combustibili fossili diede luogo ad un inquinamento atmosferico senza precedenti e il grande volume di scarichi industriali chimici si aggiunse al crescente carico di rifiuti antropici non trattati. Nelle città crebbero disordinatamente quartieri nei posti più sfavorevoli: vicino alle industrie e alle ferrovie, lontano dalle zone verdi. Le fabbriche disturbavano le case con i fumi e con i rumori, inquinando i corsi d’acqua, e attirando un traffico veicolare che si sommava a quello residenziale. L’industria chimica ebbe proprio un ragguardevole sviluppo in Inghilterra fin dalla fine del Settecento. La crescita di questo settore industriale regalò una serie di sottoprodotti nocivi per l’ambiente, come i fertilizzanti chimici che favorirono la trasformazione del rapporto del contadino con la terra che diventava mezzo di produzione da ottimizzare, ma contemporaneamente si produceva l’inquinamento dei fiumi e delle falde, spesso non immediatamente tangibile e per questo erroneamente considerato marginale. L’industrializzazione pervasiva fu comunque ritenuta accettabile perché conseguiva dei risultati immediati e positivi in termini di occupazione, di aumento di reddito, di crescita dei consumi, di miglioramento delle condizioni di vita della popolazione. Intorno al 1860 il divario tra i paesi economicamente sviluppati e quelli sottosviluppati aumentò notevolmente. Ci si preoccupò più intensamente di tutelare la salute pubblica solo quando le acque di scarico presenti nelle città furono identificate come fonte di pericolo per la salute pubblica solo quando si cominciò a stabilire che le esalazioni nocive provocavano danni immediati e diretti all’atmosfera delle aree urbane. Dalla seconda metà dell’Ottocento nei paesi europei più avanzati la sensibilità verso la salvaguardia dell’ambiente causata dall’aggressività delle attività umane fu soprattutto concepita in ambito sanitario e successivamente in un orizzonte di conservazione delle testimonianze paesaggistiche. Alla crescente industrializzazione seguiva la triste scoperta dell’inquinamento e, tuttavia, non si credeva che la sua diffusione potesse minacciare il mondo.

L’IMPATTO DELLE DUE GUERRE

In questi anni difficili dominati da due grandi guerre i problemi ambientali sono rimasti notevolmente in secondo piano a discapito di tutto ciò che le guerre hanno portato con loro. Nonostante ciò durante i conflitti armati l’ecosistema venne comunque messo continuamente a dura prova venendo spesso completamente stravolto, la morfologia del terreno nei fronti più caldi venne mutata e resa deforme.
Per chilometri quadrati il fuoco e i gas distrussero foreste e la fauna che vi dimorava. Anche sul mare i danni non furono da meno, con navi danneggiate o affondate con migliaia di uomini, che riversarono in mare tonnellate di combustibile.
L’industria stessa che inizialmente al conflitto si trovò in declino durante la guerra accelerò sempre di più le sue produzioni creando anche in questo caso un notevole impatto sull’ambiente. Questi come altri fattori non meno importanti contribuirono a creare una vera e propria eredità i cui effetti accentuati in particolare durante la seconda guerra mondiale. Per darvi un esempio il servizio forestale francese stimò pensate che oltre 350.000 ettari di foresta vennero abbattuti durante la prima guerra mondiale, una cifra che avrebbe necessitato di sessanta anni di trapiantamento.

Inoltre in questi anni con l’entrata in scena dell’automobile negli anni Venti negli Stati Uniti che arriverà successivamente ad espandersi notevolmente negli anni Cinquanta nell’Europa occidentale come proprietà abituale della classe media, l’aria urbana ha conosciuto una nuova fonte di inquinamento. I tubi di scappamento si sono uniti ai comignoli e alle ciminiere nel contaminare l’aria, e hanno aumentato notevolmente lo smog fotochimico. In luoghi dove si combinano una luce del sole particolarmente forte e milioni di automobili, come a Los Angeles, lo smog ha rappresentato un grande problema. L’innovazione tecnologica dunque, non ha tenuto affatto conto dei risvolti negativi sull’ambiente diventando poi negli anni seguenti un ulteriore problema a livello globale.

IL DOPOGUERRA “LA GUERRA FREDDA”

Gli anni cinquanta del nostro secolo erano stati caratterizzati da un eccezionale sviluppo industriale ed economico; la guerra fredda, l’aspro confronto politico e militare fra Stati uniti e Unione sovietica, hanno innescato un grande sforzo di produzione di macchinari, merci, manufatti, armi. I due imperi potevano contare su un gruppo di paesi satelliti, su un terzo mondo in condizioni coloniali da cui trarre (apparentemente) senza fine, materie prime, fonti energetiche, minerali, prodotti agricoli e forestali. L’inquinamento è diventato via via un tema più popolare, a causa della ricaduta radioattiva dal conflitto atomico in Giappone, e dei test precedenti e successivi. Su tutta l’umanità incombeva la minaccia di una guerra nucleare, resa palpabile e “visibile” dal “successo” delle esplosioni sperimentali di bombe nucleari sempre più potenti: circa mille bombe furono fatte esplodere nell’atmosfera da Stati uniti, Unione sovietica, Inghilterra, Francia, dal 1946 ai primi anni sessanta. La ricaduta al suolo, su tutto il pianeta, dei frammenti radioattivi delle esplosioni nucleari, i prodotti di fissione degli “esplosivi” uranio e plutonio, ha per la prima volta fatto comprendere due aspetti squisitamente ecologici: la modificazione chimica e fisica dell’aria e degli oceani non conosce confini, coinvolge tutto il pianeta; inoltre la contaminazione dell’aria, degli oceani e dei continenti con i prodotti di fissione, che emettono radioattività per secoli, compromette la salute e la base naturale vitale di intere future generazioni, che con la contrapposizione Usa-Urss della metà del nostro secolo non avrebbero certo avuto niente a che fare. In questo periodo si posero le basi per uno dei più grandi disastri ambientali della storia che colpì quello che all’epoca era il quarto lago più esteso al mondo: il lago D’Aral. Il governo dell’Unione Sovietica decise di prelevare, tramite l’uso di canali, l’acqua dei due fiumi che sfociavano nel lago nel tentativo di irrigare il deserto. L’obbiettivo di ciò era render la Russia una delle maggiori esportatrici di cotone creando delle colture intensive nei neonati vasti campi. La maggior dei canali innanzitutto fu costruita in modo sbrigativo, permettendo all’acqua di filtrare o evaporare. Si stima che il canale del Karakum il più largo nell’Asia centrale, abbia sprecato dal 30% al 75% dell’acqua che lo ha attraversato. La deviazione dei corsi d’acqua provocò una costante diminuzione del livello delle acque con conseguente distruzione pressoché totale degli ecosistemi del lago d’Aral. Il lago, ritirandosi, ha lasciato scoperta una vasta pianura ricoperta da depositi di sale e prodotti chimici tossici, ciò che resta della sperimentazione di armi, dei progetti industriali, del dilavamento di fitofarmaci e fertilizzanti. Per far posto alle piantagioni, infatti, i consorzi agricoli non hanno lesinato l’uso di diserbanti che hanno inquinato il terreno circostante. L’impatto ambientale sulla fauna lacustre è stato devastante. Il vento che spira costantemente verso est/sud-est trasportando la sabbia, salata e tossica per gli agenti inquinanti, ha reso inabitabile gran parte dell’area e le malattie respiratorie e renali hanno un’incidenza altissima sulla popolazione locale. Le polveri sono arrivate fino su alcuni ghiacciai dell’Himalaya. I campi della regione sono danneggiati dal sale trasportato dalle tempeste di sabbia. Anche il clima locale è cambiato: gli inverni si sono fatti più freddi e lunghi, le estati più calde e secche. I numerosi insediamenti di pescatori che vivevano del pesce del lago sono stati via via abbandonati fino al alla definitiva cessazione di ogni attività direttamente correlata alla pesca. Nei dintorni sono visibili numerosi relitti delle imbarcazioni da pesca e da trasporto che animavano il lago, ora arenati nel deserto.

Nel 1952, un evento non-nucleare, il Grande Smog a Londra, ha ucciso almeno 4000 civili. Ciò ha stimolato alcuni dei primi grandi e moderni modelli di legislazione ambientale, il Clean Air Act del 1956.

TRA GLI ANNI 60′, 70′ e 80′ “La controcultura, ovvero la cultura del futuro

NY Daily News/23 aprile 1970 – copertina in onore della prima Giornata della Terra

Gli anni sessanta, ma anche gli anni settanta, del Novecento possono essere indicati come quelli in cui si è formato e diffuso in molti paesi, e anche in Italia, un grande movimento per i “nuovi diritti”. Questi anni hanno avuto un ruolo cruciale per aver posto le basi per l’annessione di molti ideali e pensieri che caratterizzano la cultura attuale come tutti la conosciamo. Emerge soprattutto tra i giovani una forma di controcultura tra i cui ideali troviamo anche una primitiva forma di ambientalismo. Movimenti come quello “Hippie” abbracciano il concetto di ecosostenibilità inserendolo nel loro stile di vita ed influenzando migliaia e migliaia di persone in tutto il mondo. Molte loro idee si sono radicate fortemente nella cultura generale permanendo fino ai giorni nostri. La nascita della vera e propria contestazione ecologica si può far risalire alla seconda metà degli anni sessanta negli Stati Uniti. L’opinione pubblica, già sollecitata dalle contestazioni contro la guerra del Vietnam, contro le compromissioni fra università e industria, dalle battaglie per i diritti civili e per i diritti dei neri, era pronta ad ascoltare anche altre voci di protesta. I giornali e le case editrici erano preparate a dare spazio ad articoli, libri e pubblicazioni sui grandi temi “ecologici” come l’ “esplosione” della popolazione mondiale; i pericoli dell’inquinamento dovuto ai pesticidi; la congestione del traffico automobilistico e urbano; la contaminazione radioattiva dovuta alle esplosioni delle bombe atomiche del sistema nucleare-militare e alle centrali del nascente potere nucleare-commerciale; gli indicenti e gli inquinamenti industriali; le delusioni dell’”economia”, incapace di descrivere, col suo unico indicatore, il Prodotto interno lordo, i danni delle attività produttive ed economiche alla salute e alla natura. Questa svolta coinvolse un numero grandissimo di persone, sollecitate da articoli di giornali, inchieste televisive, film, libri, improvvisamente aprisse gli occhi sui pericoli a cui erano esposte, nella loro vita e nella loro salute, in quanto abitanti del pianeta Terra. L’aspetto interessante è che il movimento “esplose” letteralmente dalla base, come continuazione ideale dei movimenti degli studenti del 1968. Non a caso partì dalla California dove era anche più forte la contestazione della guerra del Vietnam, della “chimica”, del petrolio, dell’automobile, dei pesticidi, delle armi nucleari.  Nacquero i primi movimenti ecologisti che successivamente si organizzarono in partiti.

La vera esplosione dell’ecologia si ebbe a partire dall’inizio del 1970. Quell’anno fu dichiarato anno europeo della conservazione della natura e culminò con la proclamazione delle “giornata della Terra”, l’Earth Day, fissata per il 22 aprile 1970. Furono pubblicati, in centinaia di migliaia di copie, le raccolte degli articoli sulla popolazione, sull’inquinamento, contro l’economia capitalistica, in difesa della natura, che fino allora erano passati quasi inosservati. Dall’estero arrivavano sempre più frequenti segnali di disastri ecologici: dalla perdita del petrolio nel mare, dall’esplosione delle piattaforme petrolifere come quella al largo di Santa Barbara in California, alla scoperta che nel Vietnam erano state usati diserbanti contaminati da una sostanza chiamata “diossina”. Nella primavera del 1972 venne pubblicato un libro col titolo “Limits to growth” ovvero “I limiti alla crescita”, il concetto di base era il seguente: se la popolazione mondiale continuasse a crescere al ritmo di quegli anni settanta, la crescente richiesta di alimenti impoverirebbe la fertilità dei suoli, la crescente produzione di merci farebbe crescere l’inquinamento dell’ambiente, l’impoverimento delle riserve di risorse naturali (acqua, foreste, minerali, fonti di energia) provocherebbe conflitti per la loro conquista; malattie, epidemie, fame, conflitti non solo frenerebbero la crescita della popolazione, ma ne provocherebbero una traumatica diminuzione. Il libro concludeva che, per evitare catastrofi, epidemie, guerre, sarebbe stato necessario rallentare, porre dei limiti, “fermare” la crescita della popolazione, dell’estrazione di materiali e risorse dalla natura, della produzione agricola e industriale. La ”crescita”, appunto, che non ha niente a che vedere con lo sviluppo fu indicata come la fonte dei guai presenti e futuri del pianeta, il “male” da mettere in discussione e sottoporre a “limiti”, da frenare.

La vivace primavera dell’ecologia si sarebbe dissolta nell’autunno del 1973. Il 1974 e gli anni successivi furono investiti da una crisi economica che rivelava il ruolo critico, nell’economia, della scarsità delle materie prime, fra cui i metalli strategici e il petrolio. La crisi economica durò a lungo negli anni settanta, e le speranze di cambiamento svanirono rapidamente.

La Stampa – 21 marzo 1988

Anche il movimento ambientalista cambiò volto. Ci sono state lotte, anche dure, negli anni ottanta, come quelle contro i pesticidi, il nucleare, la caccia, per il corretto smaltimento dei rifiuti, per la creazione di aree protette; alcune sono state vinte e sono state ottenute norme e leggi meno arroganti per la natura; è aumentata la visibilità delle associazioni ambientaliste, ma nello stesso tempo, è scemata la carica rivoluzionaria e progettuale che caratterizzava gli anni precedenti con una graduale transizione da movimento di contestazione e di totale rifiuto della mentalità chiusa del passato ad una protesta più pacata volta a fornire suggerimenti e proposte per correggere in senso ambientalista le leggi e i governi, nazionali e locali. Con questo sembra ulteriormente allontanata la speranza di un cambiamento radicale che sarebbe stata l’unica via per frenare i danni alla natura. Inoltre problemi globali come per esempio l’epidemia di aids fecero sorgere nuovi problemi a livello globale.

Ci tengo a parlare brevemente di due avvenimenti di quegli anni:

Il disastro di Černobyl’: un incidente nucleare avvenuto la notte del 26 aprile 1986 presso la centrale nucleare di Černobyl’. Una nuvola di materiale radioattivo fuoriuscì dal reattore dopo l’esplosione e ricadde su vaste aree intorno alla centrale, contaminandole pesantemente. La contaminazione interessò perfino i paesi scandinavi e molti stati dell’Europa orientale come Bulgaria, Romania, Grecia, Moldavia, Slovenia, Austria, Svizzera, Germania e anche l’Italia. È stato calcolato infatti che l’incidente di Černobyl’ abbia rilasciato una quantità di radiazioni pari a 400 volte a quelle rilasciate in occasione della bomba caduta su Hiroshima. Oltre ai danni alle popolazioni umane numerosi studi, molti dei quali condotti in anni recenti, hanno dimostrato conseguenze negative della contaminazione radioattiva per la fauna che abita le aree maggiormente contaminate che hanno portato alla morte e a danni genetici molti animali che abitavano quelle zone. Le conseguenze devastanti di questo disastro si sono trascinate fino ai giorni nostri e la loro influenza durerà ancora molto a lungo.

Rivoluzione ecologica in Burkina Faso: anche nei paesi del terzo mondo ci furono tentativi di introdurre la sostenibilità nella politica di stato. Importante dunque menzionare la rivoluzione ecologica di Thomas Sankara che introdusse profonde riforme che trasformarono il volto del Burkina Faso in solo 4 anni, dal 1983 al 1987, in campo ambientale e non solo. con l’aiuto dell’agronomo francese René Dumont, fu intrapresa una lotta serrata alla desertificazione, piantando alberi e limitando l’allevamento, che impoveriva suoli ormai al limite. L’autosufficienza alimentare, lo sviluppo delle campagne e politiche protezionistiche su alcune materie prime furono poste alla base dell’ecologismo di Sankara che, molto spesso, rifiutava la ricette pronte del Fondo Monetario Internazionale (FMI): il pane, ad esempio, era fatto con il miglio e non con il mais perché quest’ultimo doveva essere importato ed avrebbe contribuito ad impoverire il paese. Sankarà in soli 4 anni dimostrò che era possibile trovare una “via africana allo sviluppo”, capace di eliminare sia la povertà sia la dipendenza di questi stati dall’Occidente. Egli venne però assassinato Il 15 ottobre 1987 restando nella memoria di milioni di africani come esempio di speranza e di coraggio.

DAGLI Anni 90′ AI GIORNI NOSTRI “CONOSCIAMO IL NOSTRO NEMICO, COMBATTIAMOLO”

Avvicinandosi al nuovo millennio molti governi del mondo occidentale hanno ammesso l’importanza dei temi ambientali, l’utilità di strategie economiche sostenibili e rispettose dell’ambiente. In tutti gli stati la legislazione ha cominciato dalla fine del XX secolo a normare le questioni ambientali, fino ai recenti accordi a livello planetario basati su nuovi problemi sorti in questi anni quali il buco dell’ozono e il riscaldamento globale. Il 16 settembre 1987 viene firmato il protocollo di Montréal, entrato poi in vigore il 1º gennaio 1989, un trattato internazionale volto a ridurre la produzione e l’uso di quelle sostanze che minacciano lo strato di ozono, in particolare i gas CFC o clorofluorocarburi. L’11 dicembre 1997 viene sottoscritto inoltre da più di 160 paesi il Protocollo di Kyōto in occasione della Conferenza COP3 della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), A maggio 2013 gli Stati che hanno aderito e ratificato il protocollo sono 192. Il trattato è entrato in vigore il 16 febbraio 2005, dopo la ratifica anche da parte della Russia, e la grande assenza degli USA, figuranti tra i pochi grandi paesi non aderenti, responsabili da soli del 36,2% del totale delle emissioni. Nel 2015 vengono approvati dall’Assemblea generale dell’ONU Gli obiettivi di sviluppo sostenibile facenti parte dell’agenda 2030, una serie di 17 obiettivi interconnessi che rappresentano strategia “per ottenere un futuro migliore e più sostenibile per tutti”. Il concetto di sostenibilità viene quindi definitivamente visto in maniera più ampia piuttosto che limitato esclusivamente al problema ambientale ampliandolo a tematiche di carattere sociale. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile infatti, mirano ad affrontare un’ampia gamma di questioni relative allo sviluppo economico e sociale, che includono la povertà, la fame, il diritto alla salute e all’istruzione, l’accesso all’acqua e all’energia, il lavoro, la crescita economica inclusiva e sostenibile, il cambiamento climatico e la tutela dell’ambiente, l’urbanizzazione, i modelli di produzione e consumo, l’uguaglianza sociale e di genere, la giustizia e la pace.

Si affermano sempre più associazioni che seguono un’azione diretta contro la distruzione dell’ambiente globale come per esempio Greenpeace e il WWF. In tempi più recenti anche con movimenti giovanili come i FridaysForFuture, grazie alla figura di Greta Thunberg, tornano a cuore le tematiche ambientali soprattutto tra i giovani. Rientrano in scena fenomeni come le contestazioni l’attivismo da parte dei cittadini, ricalcando più nello specifico ciò che accadeva negli anni 60′ seppur con metodi e mezzi diversi per trasmettere il proprio messaggio. Internet e i social sono nuove realtà da sfruttare per diffondere l’informazione riguardo questo tema.

Nonostante ciò i livelli di inquinamento continuano ad aumentare sempre più rapidamente, in ghiacci continuano a sciogliersi portando l’ecosistema in disequilibrio. Montagne di rifiuti continuano a disperdersi nell’ambiente, passando per fiumi, suoli, mari, ma senza mai scomparire. Animali e piante trovano sempre più difficoltà a sopravvivere in quelli che sono i LORO habitat, e che stanno mutando. Catastrofi naturali sempre più intense mettono a dura prova la vita di molte specie animali, come l’uomo per esempio. In molte città l’aria continua ad essere irrespirabile e l’acqua imbevibile portando molte persone ad ammalarsi.

Siamo arrivati al 09/04/2021, d’ora in avanti starà a noi scrivere il resto di quello che in futuro sarà il prosieguo di questa storia che vi ho narrato.

Immaginatevi come vorreste che continuasse, pensateci bene, fatelo.

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