PLASTICA: UNA PAROLA DAI MILLE SIGNIFICATI, IL CUI ABUSO VA BEN OLTRE QUELLO DEL CONSUMISMO. UN CONCETTO, MILLE USI, MILLE ”MATERIALI”.

Facciamo chiarezza (con un occhio scientifico) con la nuova rubrica mensile #Ecoscienza! Ogni secondo giovedì del mese tutte le ultime news dal mondo scientifico!

In questa rubrica parleremo inoltre dei ”mangiatori di plastica”, organismi in grado di digerire e decomporre questo materiale, delle biomasse, per la produzione di energia sostenibile a partire dagli scarti organici e ci addenteremo nel mondo delle nanotecnologie a favore dell’ambiente…

E MOLTO ALTRO!

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Ma partiamo dalle basi: chi conosce davvero cosa è la plastica? Come mutano i materiali in tutte le sue fasi? Perché si, parlare di plastica è riduttivo. Partiamo proprio da questo concetto base e scopriamo insieme questi materiali

Cosa è la plastica?

L’Unione Internazionale di Chimica Pura e Applicata (IUPAC) definisce le materie plastiche “materiali polimerici che possono contenere sostanze finalizzate a migliorarne le proprietà o ridurne i costi”. Dal punto di vista chimico la plastica può essere definita come un polimero organico non naturale, ovvero le molecole dei materiali plastici sono costituite da atomi di carbonio (C) che si legano con legami covalenti principalmente ad atomi di idrogeno (H), ossigeno (O) e azoto (N) legate insieme formando catene di macromolecole, più o meno lunghe e ramificate, chiamate polimeri. A differenza di molte sostanze organiche, la plastica non si trova in natura: viene sintetizzata artificialmente a partire da risorse naturali come il gas, il petrolio e suoi derivati.

Le materie plastiche sono composte da macromolecole lineari, simili a catene, i quali anelli sono i monomeri ,sono prodotte a partire dalla lavorazione dei combustibili fossili e dei loro polimeri: propilene, etilene, butadiene e stirene.
Petrolio e gas sono idrocarburi, ossia sostanze organiche polimeriche composte esclusivamente da carbonio e idrogeno. Per arrivare alla plastica è necessario scomporli nei singoli elementi, questo è possibile grazie a un processo chiamato cracking, durante il quale le lunghe catene degli idrocarburi vengono spezzate.
Esistono due tipi di processi di produzione della plastica: polimerizzazione e policondensazione, che avvengono con l’aiuto di catalizzatori. Nel primo caso, monomeri come l’etilene e il propilene vengono legati tra loro rimanendo intatti; nel secondo, i monomeri non vengono semplicemente sommati, ma “condensati” eliminando molecole di acqua o metano.


Ma quindi se per “plastica” si definiscono diversi materiali polimerici, quanti tipi di plastica esistono? Tanti e tutti diversi! Le plastiche , commercialmente, sono riconoscibili tramite il loro logo di riciclaggio, composto da un triangolo al cui interno vi è un numero che va dall’1 al 7. Da 1 a 6 il materiale ha diversi gradi di riciclabilità dal 100% allo 0% infatti la plastica termoindurente non è riciclabile, è inoltre fondamentale dividere ogni tipo di plastica in quanto hanno bisogno di trattamenti diversi, Il 7 indica una plastica non riciclabile e va gettata nell’indifferenziato.

Ecco l’elenco dei materiali plastici di uso commerciale, nei prossimi articoli approfondiremo meglio ognuno di questi nelle sue caratteristiche e diversità.

le bioplastiche

Il prefisso bio, al giorno d’oggi, è usato in diversi ambiti e quindi riunisce in sé più significati e il suo utilizzo spesso genera confusione finendo per aggregare sotto questo questa definizione materiali di tipo molto diverso.

Il termine “bioplastica” è impiegato in diversi contesti con almeno tre significati diversi:
 
Biosostenibilità
In questo caso si intende l’origine delle materie prime: il biopolimero sono ottenuti totalmente o in parte da materie prime di origine rinnovabile, anziché fossili (non rinnovabili). Possono essere “di sintesi” se prodotti dalla polimerizzazione di monomeri ricavati da fonti rinnovabili; oppure possono essere biopolimeri naturali, ovvero sintetizzati direttamente dagli organismi viventi, quali piante, animali, alghe, microorganismi. per esempio rinomate sono le fibre fatte dalle arance per creare vestiti oppure le platiche prodotte a da lunghi polimeri come l’amido, la fecola e altri
 
biodegradabilità
Qui il prefisso “bio” indica la capacità di biodegradarsi: un esempio è quello delle bio-plastiche impiegate per la produzione di oggetti compostabili. In questo caso il termine bioplastica (o biopolimero) si riferisce a una caratteristica importante quando questo diventa un rifiuto per esempio, sacchetti dell’ortofrutta: che sono composte da bioplastiche di zuccheri e lipidi (amido e cellulosa, (poli)acido lattico PLA ottenuto dagli zuccheri e usato nella realizzazione di articoli mediante stampanti 3D, poliidrossialcanoati PHA prodotti di fermentazione di zuccheri o lipidi che a seconda della diversa ramificazione hanno caratteristiche di polimeri termoplastici, gomme o elastomeri e altri)


biocompatibilità
Un polimero che presenta una funzionalità “bio” legata alla compatibilità con un organismo, ha importanti applicazioni in ambito medico e chirurgico: può infatti venire a contatto con i fluidi e i tessuti del corpo umano senza innescare una risposta immunitaria inoltre grazie allo sviluppo nelle scienze dei materiali alcuni tipi di polimeri possono essere anche degradabili nel organismo (polimeri bioadsorbibili).

ALLA PROSSIMA!


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